Presentazione del libro "Lo stomaco delle farfalle" di Davide Lisi
Davide Lisi, scrittore esordiente originario di Ostuni, ha 25 anni e scrive da quando ne ha memoria. Il suo primo esperimento poetico è l’opera “Sporco il bianco”, pubblicato nel 2013 in e-book e venduto sulle piattaforme online.
“Lo stomaco delle farfalle” è un insieme di racconti, edito per la casa editrice Rupe Mutevole Edizioni in collaborazione con Oubliette Magazine.
Titolo forte e contraddittorio quello che sceglie l’autore per questa opera seconda: «Volevo un’immagine che desse l’idea delle parole. Immagina di essere un bruco in una crisalide. Quando diventi farfalla non devi strappare la crisalide. Dovresti farci un buco appen...a per passarci. Guardarla, annusarla e amarla. Portarla sempre con te. Renderla tua, digerirla insomma. Quindi, quale posto migliore dello stomaco?»
(dall’intervista di Alessia Mocci a Davide Lisi per Oubliette Magazine).
Relegare gli scritti di Davide nel genere del racconto potrebbe risultare riduttivo, la sua è prosa che nasce da una passione poetica molto forte ed evidente. Più di quaranta accenni di narrazione, non solo racconti ma una voragine di pensieri bloccati su carta, associazioni libere di idee che si dispiegano come un unico flusso di coscienza. Immagini evocative che si giustappongono a riflessioni sul mondo, i tempi moderni, la mancanza di moralità, critica sociale. Il protagonista non è solo Davide, la sua mente dona vita a una serie di personaggi reali e fittizi, più o meno verosimili, alcuni presi in prestito dalla letteratura, altri scaturiti dalla fantasia. Coppie travolte dalla routine del quotidiano, giovani problematici e ribelli alle prese con il sesso, lavoratori alle prese con bollette, ragazzi e sogni infranti, dottori, marinai e assassini.
Spesso si sofferma a riflettere sul ruolo della scrittura e sul “giusto” modo di essere poeta: «Non voglio scrivere poesie, quelle sono noiose. Voglio scrivere i turbamenti. Immagina di mettere in parole quello che sarai, quello che eri, di dover descrivere un sogno che sogna di sognare».
“Della luce a tratti, quasi avesse il morbo di Parkinson, trapela viscida dalle sbarre che separano la civiltà da tutto quello che di civile si può immaginare.
Incontro mostri dalle fattezze fatate e uomini che si distruggono appena possono così da ricomporsi ogni volta secondo puro istinto.
Ancora fradicio, intravedo gli amori ormai evaporati in una coltre di fumo e nebulose moribonde, mi guardano affabili e affamati, non cerco neanche di schivarli, mi arrampico sui loro occhi rossi e per la prima volta in vita mia scopro l’invidia di dio verso di noi.
La sua onniscienza nulla può contro il piacere di un ritorno, di una partenza, un vigoroso addio linciato dal buon senso che appartiene solo all’amore.
Amore.
Ecco, alla fine si torna sempre a casa.”
Spesso si sofferma a riflettere sul ruolo della scrittura e sul “giusto” modo di essere poeta: «Non voglio scrivere poesie, quelle sono noiose. Voglio scrivere i turbamenti. Immagina di mettere in parole quello che sarai, quello che eri, di dover descrivere un sogno che sogna di sognare».
“Della luce a tratti, quasi avesse il morbo di Parkinson, trapela viscida dalle sbarre che separano la civiltà da tutto quello che di civile si può immaginare.
Incontro mostri dalle fattezze fatate e uomini che si distruggono appena possono così da ricomporsi ogni volta secondo puro istinto.
Ancora fradicio, intravedo gli amori ormai evaporati in una coltre di fumo e nebulose moribonde, mi guardano affabili e affamati, non cerco neanche di schivarli, mi arrampico sui loro occhi rossi e per la prima volta in vita mia scopro l’invidia di dio verso di noi.
La sua onniscienza nulla può contro il piacere di un ritorno, di una partenza, un vigoroso addio linciato dal buon senso che appartiene solo all’amore.
Amore.
Ecco, alla fine si torna sempre a casa.”